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Il Duello

(Dal Libro “Il sangue dell'Onore” di Marco Cavina - GLF Editori Laterza 2005;

“Codice Cavalleresco Italiano” di Jacopo Gelli - Editore-Libraio della Real Casa Miliano 1926) ( e altri studi...)

(Gli argomenti esposti sono riportati come dai testi,  con piccole modifiche,

in ordine cronologico, a spezzoni, ed in base alla mia valutazione, 

di interesse, al fine di poter essere spunto di approfondimento)

( Art. 70 L. 633/41 )

<<  5^ Parte  >>    

 

In antico il campione sconfitto era condannato a morte, talvolta (dal diritto Longobardo a Federico II), era sottoposto al taglio della mano, in quanto spergiuro, giacché doveva giurare, prima dello scontro, sul buon fondamento della causa da lui difesa.

 

Il giorno prefissato, dopo la “missa pro duello” ed altri rituali religiosi, i duellanti si presentavano al Re per combattere nel “Campo chiuso” circondato dalla “lizza” (palizzata). In quel momento potevano contestare la conformità delle armi alle consuetudini, facendole eventualmente modificare. Un araldo, infine, leggeva le regole dello scontro e poi si passava ai giuramenti di rito. A deterrente della litigiosità temeraria (cioè quando una parte avvia o prosegue una causa senza una valida ragione, con dolo o colpa grave) e per il tramite di varie procedure, a seconda delle consuetudini locali, e a seconda delle sottili distinzioni dottrinali, si prestava anzitutto un giuramento sulla fondatezza della propria pretesa, ad opera di entrambe le parti. Seguiva l'ulteriore tradizionale giuramento, d'ascendenza germanica, con cui Attore e Reo proclamavano di non valersi di alcun malefizio, amuleto o incantesimo.

Le armi, di massima erano fissate normativamente ed assegnate dal Giudice, solitamente scudi e bastoni ovvero spade e lance, salva talvolta la diversa volontà delle parti e salve, soprattutto, le consuetudini locali. L’antica standardizzazione delle armi venne, però, progressivamente meno ed il diritto di scelta delle armi fu riconosciuto, sempre più spesso, allo sfidato. Anche questo importantissimo principio fu un prodotto delle consuetudini “Cavalleresche”, ma non poca influenza esercitò la celebre ed ammirata costituzione di Federico II, la quale stabiliva che si combattesse secondo la qualità dell’accusato: a cavallo se cavaliere, a piedi se fante.

Spesso il giudice provvedeva a nominare due soggetti con il compito di verificare l’esatta applicazione delle regole ed il buon ordine in campo. Egli stesso inaugurava la procedura e proclamava solennemente a tutti gli spettatori l’assoluto divieto di rumoreggiare, o disturbare in qualsiasi maniera, sotto pena di morte. A questo punto, nel costume francese, il Maresciallo del campo entrava dentro la “Lizza” e gridava: << Faites vos devoirs (fate il vostro dovere) >> Al che le parti si armavano; ed ancora per tre volte << Laissez les aller! (lasciateli andare) >> E di nuovo << Faites vos devoirs! >>

Iniziava, finalmente, lo scontro, che durava di solito sino al tramonto. Nel caso in cui la Monomachia non si esaurisse in una giornata, proseguiva in quella successiva, allorché le parti dovevano riprendere la lotta esattamente nella posizione e nelle condizioni in cui si trovavano al momento dell’interruzione, così come verbalizzato dal giudice. Per i vari casi che, dalla concretezza dello scontro, potevano suscitare perplessità – restituzione o meno, di armi spezzate o cadute, diritto al primo colpo, e così via – dominava in pieno la consuetudine locale.

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