Il Duello
(Dal Libro “Il sangue dell'Onore” di Marco Cavina - GLF Editori Laterza 2005;
“Codice Cavalleresco Italiano” di Jacopo Gelli - Editore-Libraio della Real Casa Miliano 1926) ( e altri studi...)
(Gli argomenti esposti sono riportati come dai testi, con piccole modifiche,
in ordine cronologico, a spezzoni, ed in base alla mia valutazione,
di interesse, al fine di poter essere spunto di approfondimento)
<< 4^ Parte >>
La fraternità cavalleresca dei duellanti, attraverso le sue regole, il suo codice d'onore e la sua influenza, contribuì allo sviluppo di istituzioni più organizzate e unificate, sia dal punto di vista giuridico che sociale.
Nel corso del 1400, risulterà una sostanziale affinità delle consuetudini, al di là delle pur evidenti varianti, fra quelle usuali: in Spagna, in Italia, in Francia, in Inghilterra e in Germania.
Il duello giudiziario non era solo una questione d’onore o di giustizia divina, ma anche un procedimento costoso. Oltre al rischio fisico, le parti dovevano sostenere spese elevate per partecipare, il che rendeva questa pratica accessibile solo a chi poteva permettersela.
L’accusatore doveva dichiarare davanti ai giudici che il duello era l’unica soluzione, dopo doveva lanciare il guanto per sfidare l’avversario e attendere che quest’ultimo accettasse, raccogliendolo.
I Giudici del duello, a rigore, avrebbero potuto essere soltanto “Signori” muniti di “giurisdizione regia” “o imperiale”. In Italia erano anche “consoli e podestà”, che in origine avevano avuto soltanto il potere di fissare i duelli, rinviando le parti dinanzi al messo imperiale.
Nell’Europa basso-medievale, le città e i castelli disponevano di campi chiusi per i duelli, mantenuti da guardie specializzate che garantivano l’ordine e, in alcuni casi, ricevevano un compenso pagato direttamente dai duellanti.
Francesco Petrarca fuggì da Napoli inorridito, dopo essere stato inviato ad assistere ai duelli che si tenevano abitualmente al largo della carbonara: un giovane gli era morto innanzi trafitto dalla spada dell'avversario, mentre Giovanna D'Angiò, Andrea D'Ungheria ed il Popolo applaudivano freneticamente.
Le parti in causa spesso si affrontavano tramite campioni chiamati "pugiles", una denominazione di origine romana, consuetudinariamente “prezzolati” (pagati per compiere un atto illecito disonesto o delittuoso), erano tenuti quale categoria infamata.
Eppure ad “onta” (grave motivo di vergogna o di offesa) dello sfregio sociale e dei divieti ecclesiastici, le consuetudini di Milano riferivano che i campioni prima del combattimento assistevano alla messa e ricevevano solennemente dalle mani di un chierico le armi poste sull'altare per la benedizione.
Lo statuto Bolognese del 1200, stabiliva che i campioni non sapessero per chi combattevano. A ciascuno era consegnato un cartellino piegato con il nome della parte difesa, da rivelarsi solo al termine dello scontro.
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