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Ripercorriamo la storia... parte IV

Dal Libro (Coltelli d’Italia DI Giancarlo Baronti, Franco Muzio editore 1986) - ("La Maffia" nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni Di Giuseppe Alongi 1887)

(Storia d’Italia di Indro Montanelli – Corriere della sera 2003)

(e altri studi…)

​​(Gli argomenti esposti sono riportati come dai testi,  con piccole modifiche,

in ordine cronologico, a spezzoni, ed in base alla mia valutazione, 

di interesse, al fine di poter essere spunto di approfondimento sui Testi originali)

( Art. 70 L. 633/41 )

 

1647 L’atteggiamento del Vicerè, favorevole alle maestranze, gli tolse l’appoggio dei nobili, che si erano rifugiati nelle loro campagne e che si rifiutavano di tornare a Palermo; Los Velez, vistosi isolato, fuggì da Palermo.

 

Con la partenza del Viceré, le corporazioni rimasero da sole a reggere la situazione e, poiché l’abolizione delle gabelle alimentari aveva lasciato la città priva di risorse, fecero il tentativo di imporre tasse che gravassero sui ricchi: tributi sui balconi e le finestre, sulle carrozze, sul vino, sulla carne, sul tabacco.

Capo dei rivoluzionari al potere era Alesi, un orefice sinceramente desideroso di operare riforme sociali, ma assolutamente leale verso la Spagna. Il suo senso dell’ordine lo portò a far comminare la pena di morte a chi si desse al saccheggio, e questo lo rese gradito agli aristocratici e gli procurò una grande popolarità.

Insieme all’inquisitore Trasmiera egli trattò con il Vicerè e lo convinse a tornare a Palermo e a dare maggiore autonomia alla città e maggiore potere alle corporazioni artigiane. Il ritorno del Vicerè segnò il declino della fortuna di Alesi: le classi privilegiate reclamavano il pagamento degli interessi sui prestiti allo stato e volevano vendicarsi delle corporazioni, che appoggiavano Alesi. Si servirono, a tal fine, dei pescatori, che scatenarono un moto, in cui Alesi fu catturato ed ucciso.

Il Vicerè Los Velez fu però costretto a mantenere le riforme concordate con Alesi: ammissione dei rappresentanti popolari nei consigli municipali; coltivazione a grano dei latifondi incolti; riduzione dei dazi. Esse, però, rimasero solo promesse sulla carta a ricordo di una rivoluzione finita nel nulla.

Le corporazioni artigiane, che in essa avevano avuto un ruolo preponderante, avevano rinunciato ad usare la loro forza per fare leva sul governo ma, al contrario, avevano accettato di agire in suo nome contro il popolo, nel timore di perdere i loro privilegi. Le divisioni sociali erano state, come sempre nella Sicilia spagnola, più forti della solidarietà “nazionale” e la Spagna aveva agevolmente superato la spinta rivoluzionaria, usando ancora una volta i Siciliani per tenere a bada altri Siciliani. Il tentativo di Alesi di chiamare a collaborare il Vicerè, il popolo e le classi privilegiate si era rivelato utopistico.

 

Nel settembre del 1647 la situazione ritornò alla normalità, e il 3 novembre dello stesso anno, in seguito alla morte del Los Velez, fu nominato Vicerè il cardinale Trivulzio, un uomo di polso fermo.

 

Per fronteggiare la penuria di cibo fu ordinato, a chi vivesse a Palermo da meno di 10 anni, di lasciare la città, pena la morte.

I lavoratori agricoli furono autorizzati a lavorare nei campi anche nei giorni festivi, finché si fossero ricostituite le riserve alimentari; fu ordinato di dichiarare tutte le riserve di grano esistenti e a chi avesse scoperto depositi nascosti ne fu promessa la metà; fu restaurato l’ordine con la consegna di tutte le armi e fu instaurato un rigoroso coprifuoco.

 

Soddisfatti furono gli aristocratici siciliani, contro i quali la rivolta era stata diretta, inoltre si rafforzava il loro legame con la Spagna, che si era limitata a fare soltanto promesse senza operare significativi cambiamenti. Il Viceré, cardinale Trivulzio, consentì che i nobili portassero a Palermo bande armate per mantenervi l’ordine, che non fu più affidato alle corporazioni artigiane, inoltre non furono più eletti rappresentanti popolari nei senati cittadini di Palermo e Catania, perché non ritenuti all’altezza dell’illustre titolo.

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