Ripercorriamo la storia... parte VIII
- Gianni Galasso

- 20 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Dal Libro (Coltelli d’Italia DI Giancarlo Baronti, Franco Muzio editore 1986) - ("La Maffia" nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni Di Giuseppe Alongi 1887)
(Storia d’Italia di Indro Montanelli – Corriere della sera 2003)
(e altri studi…)
(Gli argomenti esposti sono riportati come dai testi, con piccole modifiche,
in ordine cronologico, a spezzoni, ed in base alla mia valutazione,
di interesse, al fine di poter essere spunto di approfondimento sui Testi originali)
( Art. 70 L. 633/41 )
Il prete locale, che era quasi sempre l’unico del villaggio che sapesse leggere e scrivere, veniva spesso costretto con l’intimidazione o con altri mezzi ad agire da utile intermediario presso quelli che potevano pagare il riscatto.
I banditi avevano dei propri principi di giustizia e possedevano un ordinamento parallelo a quello della società romana. Infatti, se il bandito commetteva furti all'interno del suo gruppo veniva allontanato dalla comunità, e allo stesso modo, se il capo non divideva in ugual misura il bottino veniva ripudiato dai compagni.
«La banda di Vincenzo Agnello… bandito siciliano vissuto negli anni intorno al 1560, composta da quaranta uomini a cavallo, terrorizzava le campagne del Palermitano, Agnello era abilissimo nella guerriglia. Protetto da alcuni potenti baroni, il suo ardire arrivò a tanto che, una volta si spinse fino alle porte di Palermo per uccidere un cavaliere della famiglia Afflitto con cui aveva un conto da regolare. Un'altra volta osò schernire lo stesso Viceré, duca di Medinaceli, facendosi trovare, durante un viaggio di questo da Palermo a Messina, su un'altura, a capo della sua banda, con una bandiera raffigurante un teschio, spiegata a suon di tromba. Il Medinaceli mise sul suo capo una grossa taglia e gli fece dar la caccia da quattro capitani d'arme finché uno di questi, certo Frisone, riuscì a coglierlo di sorpresa uccidendolo in uno scontro. La stessa fine fecero gli altri componenti della banda, che, caduti poco dopo in una imboscata, furono tutti giustiziati.»
«Il bandito Rizzo di Saponara… che per 25 anni infestò con le sue scorribande e delitti Napoli e la Sicilia, fu catturato nel 1578 in Toscana, ed estradato in Sicilia, ma viene avvelenato durante il viaggio verso Palermo: prima che con le sue dichiarazioni potesse imbarazzare qualche aristocratico.
Tanto più, che una prammatica dell'imperatore Carlo V - emanata nel 1526 - metteva nero su bianco che i nobili protettori dei banditi avrebbero perso i feudi e sarebbero rimasti in prigione; i pubblici ufficiali corrotti sarebbero stati addirittura decapitati.»
Il successore di Gonzaga (Vicerè nel 1535), De Vega (Presidente del regno nel 1535), sperimentò la tattica di appiccare il fuoco alle foreste per costringere i fuorilegge ad uscire all’aperto.
«Tre generazioni di famiglie dei De Luna e Perollo si erano conteso il potere a Sciacca. Ognuna era appoggiata da un esercito privato di tagliagole e da una scorta di schiavi. Il Viceré, poco dopo il 1520, nominò uno speciale funzionario di polizia per metter fine alla loro rivalità, ma i bravi di de Luna lo uccisero e il suo corpo nudo rimase per la strada per giorni prima che qualcuno osasse seppellirlo; essi quindi s’impadronirono della città, bruciarono gli archivi civici e uccisero molti dei Perollo. Quando la contesa fu sedata la città era ridotta alla metà e la campagna era cosparsa di forche e di corpi smembrati.»


