Il Duello... parte VI
- Gianni Galasso

- 28 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 nov
(Dal Libro “Il sangue dell'Onore” di Marco Cavina - GLF Editori Laterza 2005;
“Codice Cavalleresco Italiano” di Jacopo Gelli - Editore-Libraio della Real Casa Miliano 1926) (e altri studi...)
(Gli argomenti esposti sono riportati come dai testi, con piccole modifiche,
in ordine cronologico, a spezzoni, ed in base alla mia valutazione,
di interesse, al fine di poter essere spunto di approfondimento)
( Art. 70 L. 633/41 )
“Ho veduto scendere sul terreno con le armi in pugno ministri, senatori, deputati, magistrati e militari; ho veduto repubblicani, socialisti, democratici, moderati, conservatori, codini e paolotti portarsi sul luogo della pugna per reclamare dalla mano privata la vendetta che non volevano o non potevano pretendere dalla legge; e, al duello ho veduto domandare giustizia da avvocati e da pacifici notai; da medici e da veterinari; da padri e da figli di famiglia; da artisti di canto e da artisti drammatici; dai Ferravilla e fin anche dai preti! Come si vede, tutti, da chi fa la legge a coloro che non la rispettano, ricorrono al duello.” “Il duello nella statistica” (Jacopo Gelli)
DUELLI IN TORNEO
Secondo una tradizione leggendaria, il torneo nacque attorno al 1066 grazie all’inventiva di un cavaliere francese, Geoffroi de Preuilly. Da quell’idea iniziale, il gioco d’armi si diffuse rapidamente in tutta Europa, soprattutto all’interno del ceto dei milites bellatores. L’aristocrazia, già padrona della guerra e del duello giudiziario, finì presto per dominare anche questa nuova forma di competizione, così come più tardi avrebbe fatto con il duello d’onore.
I primi tornei, tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, non avevano affatto il carattere festoso che avrebbero assunto in seguito. Si svolgevano spesso durante le campagne militari, quasi come intermezzi di guerra: gruppi di cavalieri appartenenti a eserciti nemici decidevano un luogo e un momento per affrontarsi, trasformando una pausa del conflitto in uno scontro regolato, ma non per questo meno violento.
Tra il Trecento e il Quattrocento il torneo cambiò volto. Divenne un vero e proprio gioco d’armi, con regole chiare, armi spuntate e una cortesia sempre più marcata. Le città e le corti europee iniziarono a celebrarlo come una festa ricorrente, un’occasione di spettacolo e prestigio. Eppure, sotto la superficie elegante di queste cerimonie, affiorava ancora l’antica ferocia, quella che aveva dato origine a tali confronti.
A voler essere precisi, il termine “torneo” indicava esclusivamente gli scontri tra gruppi di cavalieri, vere e proprie simulazioni di battaglia. Ben diverso era invece un altro gioco, più vicino al duello: la “giostra”, nella quale due soli cavalieri si sfidavano per mostrare forza, coraggio e maestria nell’uso delle armi.
Il torneo fu un luogo privilegiato per la trasmissione di valori e modelli comportamentali della nobiltà. Riuniva in sé tradizioni diverse: l’addestramento militare, l’arte di cavalcare in pubblico, le regole del duello. Non sorprende che giostra e torneo conservassero sempre un’eco delle antiche ordalie, del giudizio di Dio, di quel confine sottile tra gioco e prova divina.
Le consuetudini cavalleresche si diffondevano con facilità nei luoghi in cui i nobili erano soliti riunirsi periodicamente. Le corti sveve e imperiali divennero celebri per la loro influenza, così come la corte occitana, vivacissimo centro aristocratico tra il XII e il XIII secolo. Più tardi, anche le piccole corti padane dei secoli XV e XVI continuarono a fungere da focolai di irradiazione dei costumi cavallereschi.


